RUOLO DI MIA NELLA PATOGENESI DELLA VITILIGINE
Ruolo di integrina alpha5beta1 e di MIA (melanoma inhibitory activity) nella patogenesi della vitiligine
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Tratto e integrato da: Bordignon M et al. Role of alpha5beta1 and MIA (melanoma inhibitory activity) in the pathogenesis of vitiligo. Journal of Dermatological Science 2013 (link all’articolo)
La vitiligine comune generalizzata (cosiddetta vitiligine non-segmentaria – NSV) è un disordine della pigmentazione acquisito e cronico caratterizzato dalla presenza di chiazze bianche, spesso simmetriche, che generalmente aumentano di dimensioni nel tempo e corrispondono ad una sostanziale perdità di funzionalità dei melanociti epidermici e talvolta di quelli presenti nei follicoli piliferi. Tale malattia interessa circa lo 0,5-25 della popolazione mondiale, con picchi fino all’8% in alcune regioni dell’India.
Nonostante numerosi studi condotti su cute affetta da vitiligine, l’esatta patogenesi di questa dermatosi deve ancora essere definita e molti meccanismi patogenetici sono stati proposti negli anni, in particolare autoimmunità, metaboliti citotossici e componenti genetiche o neurali. Nessun modello convincente che descriva le interazioni tra tutti questi fattori è mai stato descritto. Recentemente, è stato suggerito che il più importante fattore predisponente allo sviluppo della vitiligine possa essere rappresentato da un deficit di adesione dei melanociti e che il traumatismo meccanico o vari fattori stressogeni di tipo chimico possano essere i principali eventi precipitanti. Tale teoria considera la vitiligine come una malattia causata da un cronico distacco di melanociti e ha definito “melanocitorragia” la perdita transepidermica di tali cellule. La causa di tale distacco non è stata finora mai stabilita.
Le interazioni tra i melanociti e la membrana basale sono mediate da differenti molecole ed in particolari dalle integrine alpha5beta1. La perdita di adesività delle integrine alpha5beta1 causata dal traumatismo o da fattori stressogeni di tipo chimico potrebbe essere il primo passo patogenetico che conduce alla vitiligine. Tale primo passo, tuttavia, non è mai osservato nella cute normale, anche se traumatismo e stressogeni chimici possono essere comunque presenti. Deve perciò essere presente una sorta di fattore favorente (priming factor) che si attivi per permettere lo sviluppo delle chiazze vitiligoidee.
Il “distacco attivo” dei melanociti e le integrine alpha5beta1 sono coinvolti anche nell’ambito del melanoma maligno. Il melanoma maligno è il più grave cancro della pelle e la sua forma metastatica è associata con la prognosi peggiore. La disseminazione metastatica sembra essere mediata da un distacco attivo delle cellule tumorali e questo distacco può essere causato da una piccola proteina secreta direttamente dalle cellule melanomatose e chiamata “Melanoma inhibitory activity” (MIA – attività inibitoria del melanoma). E’ stato dimostrato che MIA interagisce con le integrine alpha5beta1 attraverso il legame a tali proteine sulla superficie cellulare e modulando la loro attività, causando così il distacco delle cellule dalla matrice extracellulare. Si evince così che le interazioni tra una proteina prodotta dagli stessi melanociti maligni (MIA) e una molecola di adesione melanocitaria (integrina alpha5beta1) sarebbero responsabili di un distacco attivo di melanociti neoplastici nell’ambito del melanoma maligno.
Abbiamo quindi indagato l’espressione di MIA in cute affetta da vitiligine e la sua relazione con le integrine alpha5beta1 con lo scopo di chiarire ulteriormente quale possa essere la patogenesi di tale dermatosi.
Dieci campioni di cute affetta da vitiligine sono stati inclusi nel nostro studio. Questi campioni sono stati raccolti dal bordo delle chiazze di vitiligine e includevano sia cute normopigmentata che cute depigmentata. Tutti i campioni di tessuto sono stati raccolti per scopi diagnostici. Cinque campioni di cute macroscopicamente normo-pigmentata normale sono stati scelti come controllo. Al momento del prelievo, tutti i pazienti non avevano nessuna familiarità per melanoma ed erano stati sottoposti a screening clinico per attestare l’assenza di tale neoplasia cutanea; inoltre, tali pazienti non stavano seguendo nessuna cura per il trattamento della vitiligine.
Nove campioni bioptici su dieci sono risultati positivi per la presenza di MIA. L’unico campione MIA-negativo derivava da un paziente affetto in realtà da vitiligine segmentale (SV) mentre tutti i campioni MIA-positivi derivavano da pazienti affetti da vitiligine non segmentale (NSV). Tutti i campioni di controllo sono risultati negativi per espressione di MIA. Da questo dato, si evince che il 100% dei campioni affetti da vitiligine non segmentaria risultava essere positivo per l’espressione di MIA.
L’esatta patogenesi della vitiligine è ancora oggetto di discussione e nessuno dei modelli proposti finora è in grado di spiegare adeguatamente il comportamento biologico della malattia. L’ipotesi autoimmune è ad oggi la teoria più condivisa; tuttavia, tale teoria non è mai stata in grado di spiegare la mancanza di segni clinici compatibili con un processo infiammatorio (caratteristico di ogni malattia autoimmune) nelle lesioni vitiligoidee e nemmeno la maggior presenza delle chiazze di vitiligine in siti anatomici ben definiti (come il volto e le regioni acrali) (ogni malattia autoimmune, per definizione, si dovrebbe distribuire in maniera random sull’organo colpito). Seguendo quindi un’ipotesi non-autoimmune per la patogenesi della vitiligine, ci siamo concentrati sul ruolo di MIA e delle integrine. La presenza di MIA in melanociti non-tumorali è stata completamente inaspettata, poiché i melanociti normali non esprimono tale molecola.
Abbiamo perciò indicato un nuovo modello patogenetico per la vitiligine non-segmetale.
Il normale ancoraggio dei melanociti alla membrana basale mediato dalle integrine alpha5beta1 è distrurbato dal MIA. Tale primo passo patogenetico è necessario ed indispensabile per lo sviluppo della vitiligine (il “fattore predisponente o primer”) e di conseguenza gli stimoli patogenetici secondari quali traumi fisici, stress ossidativo o autoanticorpi possono comportare la perdita dei melanociti per esfoliazione dalla cute (assieme al “torrente” dei cheratinociti che scorrono dal basso verso l’alto nell’epidermide e che quindi trascinano via i melanociti privi di ancoraggio) . Questo modello spiega efficacemente la mancanza di segni clinici di infiammazione nelle chiazze di vitiligine e la maggior presenza di tali chiazze in siti anatomici ben definiti. Secondo la nostra ipotesi, i melanociti non vengono pertanto distrutti dal sistema immunitario, ma semplicemente se ne vanno “in silenzio”. I melanociti si distaccano dalla membrana basale verso lo strato corneo ed esfoliano assieme ai cheratinociti circostanti. Tale processo è del tutto compatibile con l’assenza di una risposta infiammatoria.
In conclusione, questi studi dimostrano che la proteina MIA è presente nella cute affetta da vitiligine non-segmentale e che può causare il distacco dei melanociti, portando alla formazione delle chiazze acromiche in risposta a vari stimoli senza promuovere alcun processo infiammatorio tissutale. Come già osservato nel melanoma maligno, anche nella vitiligine il bersaglio di MIA è rappresentato dalle integrine alpha5beta1, determinando così la rottura e/o l’indebolimento delle connessioni tra i melanociti e la membrana basale. Tutte queste osservazioni aiutano a comporre l’intricato puzzle della vitiligine ed aprono la porta a nuove speranze terapeutiche, dal momento che MIA rappresenta una possibile molecola per lo sviluppo di specifiche terapie per la cura della vitiligine non-segmentaria.